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Misurare la consanguineità

Genetica e conservazione

La consanguineità media di una popolazione è una misura della diversità genetica e della classe di rischio di scomparsa e non dovrebbe mai superare l’1% per generazione.

 

Quando si considera una popolazione animale e si attuano azioni per la sua conservazione bisogna ricordare che è necessario programmare l’attività di riproduzione per avere un numero sufficiente di capi per la rimonta interna.
Nelle attività zootecniche a livello di allevatori custodi la scelta dei futuri riproduttori, per razze a limitata diffusione, viene effettuata mediante riconoscimento morfologico.
In tale ottica vengono preferiti individui con requisiti morfometrici che si riconducono ad uno standard di razza condiviso.
All’interno delle diverse razze a limitata diffusione la pratica della conservazione, non correttamente gestita, può però comportare una diminuzione della variabilità genetica e un aumento della consanguineità degli individui.
È noto che gli individui consanguinei, cioè nati da genitori parenti, sono caratterizzati da una diminuzione delle performance produttive e riproduttive, della rusticità, della resistenza alle malattie e della longevità dovuta all’omozigosi di molti geni e al conseguente manifestarsi di geni rari e/o indesiderati (recessivi) a livello fenotipico attraverso la comparsa di malattie ereditarie.
Risulta pertanto estremamente importante monitorare i piani di accoppiamento al fine di contenere l’imparentamento medio della popolazione e la conseguente comparsa di individui consanguinei.
Una misura della variabilità genetica di una popolazione è data dalla sua “Numerosità effettiva”. Con questo termine si intende un gruppo di animali, metà maschi e metà femmine, in età riproduttiva non parenti tra di loro. Poiché, in realtà, i maschi sono sempre molti meno delle femmine (solo nei piccioni, nelle starne, ecc. il numero dei maschi corrisponde a quello delle femmine) e sia i maschi che le femmine sono variamente imparentati tra di loro, la numerosità effettiva della popolazione è sempre molto minore di quella reale. Per tener conto della sproporzione tra numero di maschi e numero di femmine si può utilizzare la seguente formula semplificata per la misurazione della Numerosità effettiva (Ne):

Ne = 4 x (maschi x femmine)/(maschi + femmine)

Se una popolazione è costituita da 20 maschi e 200 femmine, la sua numerosità effettiva sarà pari a 72, e cioè ha la stessa variabilità genetica di una popolazione di 36 maschi e 36 femmine di piccione. Se il numero di maschi raddoppiasse (da 20 a 40) la numerosità effettiva salirebbe da 72 a 133 (in pratica raddoppia). Se invece il numero di femmine raddoppiasse (da 200 a 400) la numerosità effettiva salirebbe da 72 a soli 76 animali. In pratica si verifica che il sesso limitante la variabilità genetica è quello maschile e aumentare il numero di maschi è importante perché aumenta il numero di famiglie paterne (riducendo il rischio di consanguineità), mentre aumentare il numero di femmine è poco rilevante perché comporta solo di aumentare il numero di parenti (figli) di ogni maschio (e non ridurrebbe il rischio di consanguineità).
Infine, conoscendo la numerosità effettiva (Ne), è possibile stimare l’incremento atteso di consanguineità (ΔF),
ovvero:

ΔF (%) = 1/(2 Ne) dove ΔF indica il grado di omozigosi media attesa

La consanguineità media di una popolazione è una misura della diversità genetica e della classe di rischio di scomparsa e non dovrebbe mai superare l’1% per generazione, pari ad una numerosità effettiva (Ne) pari o superiore a 50.

Misurare la consanguineità